SCUSI, LEI FOTOGRAFA ANCHE I MORTI O SOLO I VIVI?
Udine
Tutto ciò che esiste, esiste in un’incredibile abbondanza, si trova dovunque, abbonda dentro di te. Il genio, il dono della creatività, è comune quanto il carbonio e l’idrogeno, e nessun essere umano ne è sprovvisto.
Jean Dubuffet.
Chiara, Manuela, Gianluca, Luigino, Carlo, Gianni, Nicoletta, Walter, Daniele, Stefano. Nominati in ordine sparso. Senza alcuna regola. E senza alcuna regola ci siamo incontrati qualche settimana fa al Nove per parlare di CipArt. E della loro partecipazione a CipArt. Ci siamo visti in due momenti distinti (non tutti potevano essere presenti la prima volta).
Chiariamolo subito che questa non è la classica intervista. A domanda risponde qui non c’è. Non ci sono quasi domande. A volte non ci sono quasi risposte. I silenzi quelli sì che ci sono, e parlano. Come gli sguardi. I sorrisi e i mezzi sorrisi. E anche i non sorrisi. Gli occhi che si abbassano o che si spostano.
Un passo indietro. A beneficio di chi legge. Cosa è CipArt? Persone, un bel gruppo di persone in grado di trasformare qualsiasi cosa – come pareti di casa interne o esterne, mobili, biciclette, caffettiere, oggetti e altro ancora – con un tocco di creatività ed utilizzando materiali a basso impatto economico e ambientale. Sono “quelli di CipArt”, gruppo di creativi ‘guidati’ da Catia Liani, e lavorano nel laboratorio di decorazione artistica che ha sede all’interno della Comunità Nove, nel Parco di Sant’Osvaldo a Udine, servizio gestito dalla Cooperativa Itaca.
I corridoi e le sale del Nove si sono trasformate in questi anni in una Galleria artistica stabile. “La nostra filosofia nasce dalla volontà di cambiamento che trova spazio, a livello simbolico, nelle trasformazioni di ambienti, mobili e oggetti che abbiano la caratteristica dell’inutilizzo – si legge nella presentazione della pagina di Cipart su Facebook (www.facebook.com/cipartgroup) -. La scelta nel voler utilizzare materiale di riciclo ha in sé l’obiettivo di considerare il materiale in disuso fonte di creatività, con un basso impatto ambientale e con una limitata spesa economica. L’intento è anche quello di dimostrare che a tutti i livelli si può far arte e che tutti vi possono accedere attraverso la sperimentazione del proprio sé artistico”.
Torniamo all’intervista non intervista. Varco la soglia della Comunità, ogni volta che ci vengo mi torna in mente l’abbraccio ricevuto da Elvirona la mia prima volta, nel 2002 credo, e ne ho nostalgia. Corridoio a sinistra verso gli uffici, prima porta a destra. Entro, saluto, mi presento a chi non mi conosce. Dopo qualche minuto abbondante di ambientamento reciproco, si parte con la prima intervistata. A sorteggio casuale vince Chiara, toccherà a lei rompere il ghiaccio. Ed ecco la prima domanda non domanda. Che resterà l’unica, ma anche no. Attorno ad essa un po’ tutti cercheranno di mettere del loro. Me compreso.
Come ti sei avvicinata a CipArt e qual è il senso del laboratorio per te?
E’ arrivato il domandone del “giornalista-fotografo di Itaca che si occupa ogni mese della Gazzetta” (così son stato introdotto). Il muro si materializza subito. Silenzio. Chiara non risponde. Imbarazzo, più mio che suo. Ci guardiamo. Silenzio. Guardo gli altri, silenzio. Anche Gigi Marzullo (per non scomodare qualche altro Gigi nostrano) avrebbe saputo fare di meglio. Iniziamo a chiacchierare del più e del meno, la distanza si accorcia, ristabiliamo il contatto, ci ritroviamo. Cosa ti piace disegnare o riprodurre, hai dei soggetti o degli artisti che preferisci, quali colori ti piace usare, ritrovarti qui ti da anche qualcosa nella relazione sociale con gli altri? Non siamo a livello del ‘si faccia una domanda e si dia una risposta’ di marzulliana prassi ma quasi. Però ci siamo. Una pillola qua e una là e il cerchio si chiude. E il nostro incontro parte. Sotto uno dopo l’altro. Ecco le voci dei protagonisti.
Leggi l’intervista ai cipartists in versione integrale su IT La Gazzetta settembre 2012